Le Nazioni Unite per la prima volta indicano la transizione
verso una dieta priva di prodotti animali come la via da seguire per
risolvere i problemi ambientali e alimentari che affliggono il pianeta.
L'inedita presa di posizione, che ricalca ciò che molte associazioni
animaliste e ambientaliste dicono da tempo, quando sottolineano le
buone ragoni non solo etiche, ma anche ecologiche, per passare a una
dieta vegan, si leggono nell'ultimo rapporto diffuso dall'Unap, il
Programma Onu per l'ambiente, pubblicato lo scorso due giugno. Nelle
conclusioni dello studio dal titolo ”Assessing the environmental
Impacts of Consumption and Production”, gli scienziati mettono in
guardia sui rischi della prospettiva in cui all'incremento in corso
della popolazione mondiale corrisponda un aumento dei consumi di carne,
pesce, latte e uova, che avrebbe conseguenze ambientali devastanti
prevenibili solo con un drastico cambiamento delle abitudini alimentari
mondiali e la rinuncia all'utilizzo, da parte di tutti, dei prodotti
animali.
Secondo le proiezioni pubblicate quest'anno dalla Fao, infatti,
l'attuale modello culturale e la diffusione del consolidato stile di
vita occidentale porterà la produzione di carne a più che raddoppiare
entro il 2050 (arrivando dagli attuali 228 milioni di tonnellate a 463
milioni).
Senza un'inversione di tendenza, si tratterà di un vero e proprio
disastro ambientale i cui effetti sono calcolabili già adesso, visto
che l'insostenibilità dell'attuale modello emerge da tutti i dati messi
in evidenza nei rapporti dell' organizzazione intergovernativa, senza
che però da questa consapevolezza siano scaturite mai concrete
iniziative politiche.
Il rapporto Onu indica la zootecnia tra le prime voci delle priorità
da affrontare nel prossimo futuro, riconoscendo l'allevamento degli
animali come una delle cause primarie all'origine dell'inquinamento e
del riscaldamento globale, che provoca all'ambiente più danni rispetto
alla produzione di materiali per l'edilizia, come sabbia e cemento e
materiali come plastica e metallo, e sottolinea che le coltivazioni per i
mangimi animali sono dannose come il consumo di combustibili
fossili.
Ma la zootecnia è, soprattutto, uno degli ambiti in cui è maggiore
lo spreco delle risorse. In termini strettamente energetici, infatti,
come spiega dettagliatamente il Neic (Nutricion ecology International
Center), l'allevamento degli animali ”da reddito” è uno degli
investimenti meno proficui e gli animali sono come ”fabbriche di
proteine alla rovescia” poiché il funzionamento del loro metabolismo fa
sì che il capitale investito nella produzione di carne sia poi
restituito in modo drasticamente più basso.
Basti pensare che servono 25 kcal di cereali per ottenere un solo
kcal di carne bovina, 11 volte più rispetto all'energia necessaria per
la produzione di grano, che ammonta a 2,2 kcal circa. E il rapporto è
di 57:1 per la carne di agnello, 40:1 per quella di manzo, 39:1 per le
uova, 14:1 per il latte e la carne di maiale, 10:1 per il tacchino, 4:1
per il pollo.
E mentre il settore zootecnico consuma le calorie che potrebbero
sfamare le popolazioni del sud del mondo, fa anche peggio con l'acqua
che porta via, visto che, oltre all'8% di acqua potabile mondiale che
serve ad abbeverare direttamente gli animali reclusi negli allevamenti,
è enorme la quantità necessaria per coltivare i foraggi che li
nutrono.
A conti fatti, per ottenere un chilo di manzo da allevamento
intensivo si sprecano duecentomila litri d'acqua a fronte dei duemila
che bastano, ad esempio, per la stessa quantità di soia dal valore
nutritivo comparabile.
Se poi si pensa che allevare gli animali produce più emissioni di
gas serra rispetto al settore dei trasporti e ben il 64% dell'ammoniaca
totale, che concorre all'acidificazione degli ecosistemi e alle piogge
acide, è chiaro come la zootecnia contribuisca anche a complicare gli
sforzi per la conservazione della biodiversità. Secondo l'ultimo
rapporto Fao il 10% delle specie protette rischiano l'estinzione per
cause riconducibili direttamente gli allevamenti intensivi, perché il
26% delle terre libere dai ghiacchi è destinato all'allevamento e
soggetto a deforestazione e erosione, mentre le deiezioni animali,
prodotte in quantità che i terreni non sono in grado di smaltire,
contaminano gravemente gli ecosistemi acquatici.
Cambiare le cose, però, stavolta, è alla portata di tutti. Negli
ultimi paragrafi del rapporto Onu, nel capitolo sui consumi, gli
scienziati indicano chiaramente la via da seguire, sottolineando quanto
sia diretto il rapporto tra dieta e salvaguardia del pianeta e come
scegliere i prodotti animali comporti un ben maggiore impatto rispetto
ai prodotti vegetali. Poche volte come in questo caso la responsabilità
di salvare il mondo passa in concreto dalle scelte quotidiane.
Nessun commento:
Posta un commento
Ricorda che il tuo diritto termina dove inizia il diritto del tuo prossimo, quindi porta rispetto!!!